27 Mag 2015
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Il futuro non si prevede, lo si inventa | |
Nel maggio del 2014 ero in vacanza negli Stati Uniti e stavo viaggiando sulla Route 66, la “Mother Road” che attraversa gli Stati Uniti, unendo Chicago a Los Angeles, attraversando tre fusi orari e otto stati: Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico, Arizona e California. Come tante altre strade di questo genere, denominate Route, fu istituita negli anni venti del secolo scorso, nell'intento di creare una rete stradale che fosse adatta a soddisfare il sempre crescente traffico automobilistico che derivava dallo sviluppo dell’economia, soprattutto nell’Ovest. Negli anni settanta venne sostituita dalla Interstate, una rete di strade a quattro o anche più’ corsie, in grado di rispondere alle nuove esigenze che si erano venute a creare. Il mito della Route 66 però rimase sempre inalterato, perché la Route 66 non è una strada, è un museo a cielo aperto, è qualcosa di ineffabile, di indefinibile, piena com'è di ricordi, di simboli, di storia e di vita. Per questo motivo la Route 66 e’ rinata, diventando un parco nazionale, caso unico al mondo per una strada, vincolata dal Ministero Federale dei Beni Culturali come un pezzo significativo della storia d’ America. Rappresenta la corsa verso ovest, la ricerca dell'Eldorado, la voglia di libertà. Steinbeck vi ambientò il suo capolavoro, “Furore”, dandole il nome di Mother Road, la Strada Madre di tutti gli americani, e Kerouac vi ambientò le sue opere migliori. Rappresenta la voglia di cambiamento, di fuga dal presente verso un futuro migliore. Occorre ricordare che, per molti americani, il sogno divenne realtà. Uno di questi fortunati individui, Bobby Troup, durante il trasferimento con la famiglia, scrisse una canzone “Get your Kicks on Route 66″ che vendette a Nat King Cole, appena arrivato a Los Angeles. Il motivo ebbe un successo strepitoso e Bobby divenne ricco e famoso immediatamente. Get your Kicks on Route 66 , goditi il viaggio, divertiti alla grande sulla strada della tua vita. Questo è stato il primo spunto per una riflessione sull'inquietudine, quel sentimento che, se ben incanalato verso un obiettivo preciso, spinge a creare, a costruire, a inventare. E, ciò che più conta, non è così importante tagliare il traguardo, quanto apprezzare ogni momento, ogni passo del percorso che ha portato fino a quel punto. Mentre percorrevo la Route 66, tornavo con la mente alla mia gioventù, a quando ascoltavo i dischi di Bob Dylan, di Jimi Hendrix, di Jim Morrison. Risentivo dentro di me la stessa ammirazione per i miei miti e, insieme, lo stesso slancio di allora, la stessa pulsione verso qualcosa di nuovo, di migliore, in cui potessi finalmente ritrovarmi. La mia generazione sognava di cambiare il mondo e lo sognava intensamente. Qualcuno ha detto che non si è cambiato nulla, ma questo non ha importanza e, in ogni caso, non è vero. Ci siamo divertiti a sognare e questo già sarebbe bastato. Ma la cosa che più conta è che il mondo è davvero cambiato, e il cambiamento è stato velocissimo, addirittura travolgente, anche se non sempre è andato nella direzione che avevamo immaginato. Si cambia perché qualcuno lo vuole, qualcuno lo immagina, è capace cioè di sognare, di desiderare intensamente qualcosa ed è disposto ad agire per realizzare il proprio sogno. E' vero che non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti. Del resto, nemmeno Colombo arrivò mai alle Indie, si fermò prima e diede inizio a una nuova era. E' questo lo spirito con cui mi sono messo a collezionare sessantasei spunti di riflessione. Il perché di questo numero è lo stesso che diede origine alla grande strada che attraversa gli Stati Uniti. La Mother Road fu pensata, voluta e creata, nella meta’ degli anni 20, da un certo Cyrus Stevens Avery, un ricco uomo d’ affari di Tulsa, Oklahoma. La commissione federale per la viabilità’ aveva stabilito che le strade da Est a Ovest avessero numeri pari e quelle da Nord a Sud numeri dispari, mentre le decine erano assegnate alle vie più’ importanti. Stevens pretese che la sua strada si chiamasse Route 60, ma incontrò una fortissima opposizione da un altro comitato, che proponeva lo stesso numero per una strada proveniente da Atlanta in Georgia, anch’essa diretta verso Ovest, che attraversava l'intero continente. Allora Stevens ripiegò sul numero 66 (sixty six), semplicemente perché’ aveva un bel suono. Aveva un suono così bello da portare fortuna alla strada e a tutto ciò che la Route significa. Ecco spiegata la ragione di questa scelta. Get your kicks on Route 66. Get your kicks, allora, sulla strada della tua vita. Ho voluto divertirmi a immaginare il futuro, a crearlo a costruirlo pezzo per pezzo, scegliendo con cura i materiali, il necessario e l'accessorio. Ho deciso che il futuro non è qualcosa da prevedere, non lo si legge negli oroscopi o nei tarocchi. Il futuro è qualcosa da costruire giorno per giorno, pezzo per pezzo, godendosi il viaggio come sulla Route 66, quella stessa Mother Road che gli americani, con il medesimo animo dei pionieri, percorrevano con entusiasmo, con fiducia, con spirito di avventura, alla ricerca della propria realizzazione, all'inseguimento di un sogno per se stessi e per le generazioni a venire. Una strada, insomma, che porti al futuro, e che ci permetta di arrivare alla meta in piena forma, felici di aver compiuto quel lungo viaggio. |
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postato da Claudio Maffei alle 10:37 | commenti presenti [0] |
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