16 Nov 2013
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“Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. | |
“Dobbiamo ripensare tutta l’organizzazione sociale. Le nostre società non sono preparate ad avere una popolazione così vasta di “anziani giovani”, pieni di energia, di capacità e voglia di fare. Questa vasta popolazione è una risorsa: le “pantere grigie” diventeranno il nostro petrolio. Se sapremo usare la loro materia grigia, avremo a disposizione una risorsa abbondante di qualità, che potrà essere una leva per lo sviluppo, potrà darci una marcia in più per il nostro futuro. Per me, un vero e proprio choc culturale è la differenza di discorso su questo tema dell’invecchiamento, del passare degli anni. Gli inglesi usano il termine ageing, che non ha alcuna connotazione negativa, ma che indica proprio il proseguire dell’età. Lo choc culturale, dicevo, è la differenza tra il modo in cui se ne discute in America piuttosto che in Italia. Io, ogni volta che torno in Italia, all’età di 56 anni, ho la sensazione di essere di troppo, perché si parla di me, di quelli come me, della mia generazione, o come un costo o come… un tappo. Come un costo, perché abbiamo i cosiddetti privilegi (posto fisso, remunerazioni ancora relativamente elevate, ecc.). Soprattutto, ci accingiamo a entrar nell’età della pensione e, quando andremo in pensione noi, sembra che sfasceremo tutto. Quindi siamo visti come un costo, oppure come un tappo, perché saremmo di ostacolo ai giovani. E’ colpa nostra se i giovani soffrono, non trovano lavoro o vivono nel precariato, perché saremmo noi a occupare i posti a loro destinati. Io vengo da un paese, gli Stati Uniti, anzi, ho passato un bel pezzo della mia vita in un’area degli USA, la California, San Francisco, la Silicon Valley, che è la patria del giovanilismo per eccellenza. In particolare, vado regolarmente a visitare un luogo che si chiama “The Centre for Longevity” (il Centro per la Longevità), dove non si trovano medici specializzati in geriatria, che si preoccupano dei problemi di prostata. No, al contrario, questo centro, situato presso l’Università di Stanford, è un luogo dove si mettono insieme intelligenze di economia, tecnologia, sociologia, per immaginare come la società debba cambiare in modo da accogliere questa rivoluzione positiva: l’arrivo di una vasta popolazione di pantere grigie (siamo noi), che diventerà il prossimo motore di rilancio. Ecco, questo mi appassiona: il fatto che proprio in una zona della California, che non è certamente ostile ai giovani (anzi, tutt’altro!), l’avvento della seconda età dei baby-boomer non è ostacolato, anzi, è pensato, studiato, immaginato come una straordinaria opportunità positiva, al punto che dobbiamo metterci insieme, per pensare che cosa farne, di questa risorsa. Ciò che è assurdo dell’approccio italiano sta proprio nel fatto che il fenomeno demografico sia stato sequestrato dai tecnici della finanza previdenziale. Un’angolatura ridottissima, un immiserimento di un tema gigantesco, che viene visto solo attraverso questa lente: che cosa succederà ai conti dell’Inps? Con il paradosso che, in Italia, un evento positivo, come il fatto che si viva più a lungo, diventi lugubre, che se ne dia una lettura cupa e opprimente. Gli americani, al contrario, lo vedono semplicemente facendo i conti: l’allungamento della speranza di vita, spalmata su questa popolazione, significa che abbiamo a disposizione centinaia di migliaia di anni di vita umana. E’ una ricchezza meravigliosa. Ecco, non ha senso che, in Italia, la si veda soltanto come una catastrofe prossima ventura. Intanto, voglio, prima di tutto, sgomberare il campo da un tragico equivoco italiano. E’ quasi una impostura, una frode, quella che rappresenta, nel nostro paese, la situazione economica attuale, la situazione del mercato del lavoro, come una guerra tra generazioni, con questa idea, che, per fare largo ai giovani, dobbiamo per forza cacciar via i cinquantenni. Dico che è passata nei fatti perché fior di settori industriali, tante aziende importanti, confrontandosi con la crisi, hanno scelto la leva dei prepensionamenti, decidendo di cacciar via i cinquantenni, come ammortizzatore sociale, proprio mentre l’età legale della pensionabilità si stava allungando. Quante di queste aziende hanno poi scelto effettivamente di assumere ventenni? Non a caso, i paesi dove c’è meno disoccupazione giovanile sono quelli dove si lavora più a lungo, perché il lavoro non è una torta fissa da spartire, in una logica della scarsità e della penuria. Viceversa, il lavoro è una ricchezza elastica. Più a lungo si lavora, più quelli che lavorano a lungo riescono a creare ricchezza, e questa ricchezza va a vantaggio di altri, crea potere d’acquisto, nuove idee di cui i giovani si possono avvalere. L’America, vista dal mercato del lavoro, è il paese che già sposta l’età pensionabile ai settant’anni. Soprattutto, sta di fatto eliminando l’idea stessa di età pensionabile. In America, un’età obbligatoria, per legge, per andare in pensione, non esiste più, salvo in pochi settori di pubblico impiego. La pensione è “à la carte”: si lavora finché si ha voglia o bisogno. Naturalmente, ci sono le due facce della medaglia. L’impatto dell’ultima recessione è stato tale che, facendosi i conti in tasca, alcuni sessantenni hanno deciso che dovevano lavorare a lungo per aumentare la consistenza del proprio fondo pensione, mentre, più spesso, c’è la scelta, per volontà, di allungare l’età lavorativa. Ci sono poi altri fenomeni interessanti. Prima di tutto, c’è il ritorno delle pantere grigie all’università, la formazione permanente, prolungata ben oltre i cinquanta-sessant’anni. Solo nell’ultimo biennio, è aumentata del 17% la percentuale di iscritti all’università che hanno più di 55 anni. Questi tornano all’università, in vista di una seconda età lavorativa, per fare il pieno di conoscenze professionali che servono rientrare nel circuito produttivo, a cambiare lavoro, a immaginare una seconda età adulta, in cui l’attività professionale sarà diversa da quella svolta nella prima età adulta. Di questa idea, vedo applicazioni interessanti in Italia, se solo riuscissimo a liberarci della distorsione italiana che vede gli ultra cinquantenni-sessantenni come un tappo che impedisce ai giovani di emergere. Al contrario, dalle idee, dalle iniziative delle pantere grigie possono nascere, in tanti settori dormienti dell’economia italiana, nuove imprese, nuove attività, che potranno finalmente fornire ai giovani uno sbocco. Perdere il lavoro a cinquant’anni non è mai facile, sotto ogni latitudine. Non è mai una situazione facile. Tuttavia, la differenza di impatto tra America e Italia è molto forte. Negli Stati Uniti, il mercato del lavoro ha attraversato una fase pesante dopo la recessione del 2009. Tuttavia, non è facilissimo neanche lì, per un cinquantenne, ritrovare lavoro, dopo averlo perso. L’atteggiamento è però profondamente diverso. Intanto, non c’è quella dicotomia tragica tra l’idea del posto fisso e del precariato: il paradiso e l’inferno. In realtà, negli USA, un po’ tutti siamo precari. Il posto fisso non esiste per nessuno: tutti sono licenziabili. Questo fatto di insicurezza, un po’ universale, al tempo stesso ne riduce la drammaticità. Ma soprattutto, il cinquantenne che perde il lavoro, in America, è abituato a vedersi come una risorsa molto valida, spendibile, e allora una delle prime idee che vengono in mente è di tornare a scuola, di arricchire se stesso di nuovo valore, di conoscenze, di nuove skill, nuovi talenti, andando ad attingere dove ci sono, per esempio all’università, e una forte spiccata attitudine a immaginare una seconda età adulta, in un’ottica di imprenditorialità. Il pensiero è del tipo: “Non lavoro più in una grande azienda, però so bene tante cose che potrei fare da solo. Posso fare l’imprenditore, posso diventare un consulente, posso distribuire ad altri le mie conoscenze.”. C’è anche una vasta industria di consulenti che insegnano proprio questo. Siccome le opportunità ci sono, il mercato non è razzista nei confronti delle pantere grigie. Esiste, in inglese, il termine “ageism”, il razzismo per età, che è perseguibile per legge. In America, se si viene licenziati per la sola ragione dell’età, in altre parole, è possibile fare causa al proprio datore di lavoro. “ Federico Rampini |
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postato da Claudio Maffei alle 23:10 | commenti presenti [0] |
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