8 Apr 2015
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Lo Squalore | |
Il blog «Dis.Amb.Iguando» della professoressa Giovanna Cosenza ospita la lettera di Paolo, un giovanotto laureatosi con lei e ora impegnato a macinare carriera dentro una multinazionale. Paolo racconta che un collega di 55 anni, Mario, si è appena dimesso per problemi con l’azienda. Gli vengono imputate lentezza e incapacità di adattamento al nuovo. In realtà, scrive Paolo, il problema di Mario sono io. Io che con vent’anni di meno mi sono ritrovato a vessarlo in veste di suo superiore. E che da quando lui si è licenziato per causa mia non dormo più la notte perché so di essere diventato uno squalo come gli altri.
Ci vorrebbe una pagina, forse un libro intero, per sviscerare le questioni relative al significato moderno del lavoro che la confessione di Paolo porta in superficie. In questo spazio breve e poco serioso mi accontenterò di sfiorarne un aspetto. Detto tutto il male possibile dei pelandroni e dei cialtroni, si può chiedere a un uomo di mezza età, con energie in calo e familiari a carico, di avere la bava alla bocca di un trentenne concentrato soltanto sulla carriera? Si può immaginare un modello unico di società in cui la legge della giungla viene applicata indifferentemente a tutte le generazioni? Con il prolungamento della vita e l’inaridirsi delle pensioni il sistema produttivo del futuro non potrà più permettersi il lusso di rottamare i «diversamente giovani» ai primi cenni di cedimento. A meno di procedere a esecuzioni di massa, sarà costretto a riformare uno schema che accanto a quello dei giovani squali preveda ed esalti, in ruoli e con modalità diverse, il contributo delle sagge tartarughe. Massimo Gramellini |
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postato da Claudio Maffei alle 11:37 | commenti presenti [0] |
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